Roberto Carta non è un allenatore come tanti, ma uno come pochi. E non solo per la bravura e l’esperienza che (anche) i colleghi gli riconoscono, ma perché la stagione passata è riuscito in un’impresa che in Europa non ha avuto eguali: vincere lo scudetto senior con le squadre, maschile e femminile, iscritte ai massimi campionati di una disciplina olimpica, il nostro hockey su prato.

Un’accoppiata cui Roberto era andato vicino la stagione precedente, perdendo (poi) entrambe le finali Play Off, maschile e femminile, con la squadra i cui colori ha rappresentato e rappresenta (in campo prima e in panchina ora) da una vita: Amsicora. A 15 anni, infatti, Carta ha esordito in serie A: sei mesi dopo era già vestito dell’azzurro della senior. Quindici anni di un amore intenso e appassionato; poi, appena passati i trenta - “ne avevo fin sopra i capelli, perché allora di capelli ne avevo, a causa di alcuni infortuni legati all’usura” - dopo due anni con l’Amatori Cagliari (in pratica la seconda squadra di Amsicora) l’addio all’hockey giocato, per uno dei più forti giocatori della sua generazione e oltre. Uno dei magnifici sedici che può vantare di aver partecipato all’unico Mondiale che ha visto la partecipazione della (qualificata) nazionale italiana: quello di Buenos Aires del 1977. Con lui c’era, tra gli altri, anche Roberto Da Gai: a distanza di quasi quarant’anni, i due si ritrovano Direttori tecnici delle nazionali italiane. Per Carta c’è quella femminile che – al netto delle diverse esperienze maturate nello staff azzurro a partire (con periodi alterni) dalla seconda metà degli anni Ottanta – nel 1992 lo ha visto guidare le donne a Auckland, nel preolimpico per Barcellona: “Chiudemmo da diciassettesime al mondo”. Grossomodo il punto da cui parte l’Italia femminile di oggi: “Partiremo da qualcosa di molto importante e dalle cose buone fatte, cercando di far crescere le nostre giovanili – qui parla il DT azzurro –potenziando e investendo sui giovani allenatori italiani: ce ne sono pochi, ma alcuni davvero bravi”. A noi però oggi interessa l’allenatore di Club, cui le cose stanno andando bene (anche) quest’anno: la sua Amsicora maschile è infatti campione d’inverno con una giornata di anticipo sulla fine del girone di andata, mentre la selezione femminile è andata al riposo con due punti di distacco dal Catania capolista, con cui però deve recuperare (a marzo) lo scontro diretto. Gli ingredienti per replicare il (doppio) successo dell’anno scorso ci sono tutti. Mister Scudetto saprà mescolarli a dovere? A domanda secca, in effetti, non si tira indietro: chi vince i due scudetti?

Amsicora”, dice sorridendo.

Maschi e femmine?

Beh si gioca per vincere, fa parte del mio DNA e mi piace avere la pressione addosso: punto su di noi”.

Qual è la squadra che ti ha impressionato di più quest’anno, nella maschile?

Bra non è assolutamente inferiore a noi; non sarà facile arrivare fino alla fine in testa alla classifica; poi ci sono Bonomi, che sta facendo un ottimo campionato, e la stessa Ferrini. Proprio sabato scorso hanno dimostrato il loro valore contro di noi con un ottimo secondo tempo, nel quale hanno dimostrato di saper lavorare e di non essere lì per un frutto del caso”.

Ci sono giovani interessanti, in giro per l’Italia?

Sì, sia nella maschile che nella femminile; finalmente le squadre di serie A li fanno e le fanno giocare: il fatto che facciano esperienza è un vantaggio per tutto il movimento dell’hockey italiano. Lo facciamo noi, Bra, Roma, solo per dirne alcune, e nella femminile c’è l’esempio di Argentia, Cernusco, il nostro e di Catania, che gioca con una sola straniera: così il movimento dell’hockey e la nazionale ci guadagnano”.

Quali sono le doti che deve avere il giocatore perfetto?

Per me è il giocatore “universale”, quello che può e sa fare tutto: che sa difendere, attaccare e impostare. Quello che sa rendere in qualsiasi posizione del campo venga impiegato e che capisce quello che deve fare senza che nessuno gli dica nulla. Nella mia squadra, e ti parlo solo di italiani, Federica Mereu e Federica Carta (che non è parente di Roberto, ndr) e nei maschi Luca Angius, Fabio Mureddu e Giaime Carta (nemmeno lui è parente di Mister Scudetto, che invece è lo zio di Nicola, figlio dell’ex portiere azzurro e amsicorino per una vita, Luigi, di una decina d’anni più grande di Roberto, ndr). Atleti in grado di rendere dovunque vengano impiegati, che capiscono al volo cosa devono fare

In chiusura, c’è qualcuno che ti ricorda Roberto Carta giocatore?

Mi piaceva molto Gianluca Cirilli, che mi somigliava tanto; ma sono epoche diverse. Io ero cattivo e implacabile dentro l’area – dice Roberto, con quel sorriso bonario che conserva per tutta la conversazione- e adesso il gioco è diverso: ci sono più giocatori che corrono e impostano, mentre prima era più individualistico. Adesso chi ha individualità vince qualche partita, ma nulla più: se non sei una squadra o un team non vai da nessuna parte”.

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