GIULIO DE VIVO, capitano della nazionale italiana maschile Under 21, impegnata a Lousada dal 13 al 19 luglio nel Championship II.

Innanzitutto Giulio, come stai?
Ora sto bene e ho ripreso il bastone in mano. In una delle amichevoli giocate a Barcellona con la Spagna ho fatto un cambio di direzione e ho subito una elongazione di primo grado. L’Europeo sembrava a rischio, ma grazie allo staff tecnico della nazionale ho fatto recupero in acqua e sono tornato in forma. Questo staff è pazzesco, mi sono stati vicini tantissimo, mi hanno aiutato: sono stati fondamentali! E’ anche grazie a loro se a Lousada ci sarò.
E in Portogallo sarai il capitano della nostra squadra: che significato ha per te?
Essere capitano significa tanto. Perché rappresenta l’idea di Italia. Poi c’è l’impegno verso il progetto della federazione, che mette insieme sport e crescita, ma anche valori, sia dentro che fuori dal campo. Con la fascia al braccio hai la possibilità di far capire, al gruppo, l’importanza di ciò che stiamo facendo; dal punto di vista tecnico e tattico, ma anche umano. Essere capitano, poi, ti fa trascinatore e punto di riferimento.
Hai già portato la fascia al braccio nella 18, a Cernusco, nell’Europeo di tre anni fa: ti fa effetto quando ti chiamano capitano?
Beh sì; sono orgoglioso di portare la fascia al braccio. E’ una responsabilità grande e l’attenzione che si deve avere, in quello che si fa, deve essere sempre massima: perché sei un esempio, in tutti i sensi. E’ una bella sensazione, che mi rende orgogliosissimo.
I ragazzi dell’Under 16 a Vienna hanno fatto una splendida figura; un giorno probabilmente vestiranno la maglia azzurra nelle categorie superiori, proprio come te…
I ragazzi della 16 hanno dimostrato di valere tanto e di avere un buon gioco: qualità che gli hanno permesso di arrivare quarti. Hanno fatto una esperienza importante, con uno staff importante: tutto ciò ha risvolti positivi su tutto il nostro movimento. Conosco quasi tutti loro, sono atleti seri e giocatori forti. E poi gran parte dello staff tecnico maschile che segue senior e U21, segue anche le giovanili: sicuramente questo ha un peso importante nella realizzazione di un progetto, che prevede una linea di continuità fino all’approdo in under 21 e senior.
Nel tuo club, il CUS Padova e in nazionale senior hai due capitani niente male; ti va di parlarci di loro e delle qualità che vorresti mutuargli?
Jacopo Lunetta (CUS Padova) - per anni capitano anche in azzurro - è un grandissimo atleta; ancora oggi, a 34 anni, fisicamente sta bene come me che ne ho 20. E’ un giocatore serissimo, dentro e fuori dal campo, sinceramente vorrei avere tutte le qualità che ha lui, perché è talmente completo che non se ne può scegliere solo una e giocare con lui è bellissimo. Di Daniele Malta, che è una persona di cui ho una stima incredibile, mi è sempre piaciuto il fatto che oltre a essere un grande giocatore è anche un trascinatore; mi ricorda un legionario romano, con la sua barba, i capelli scuri e quella grinta che mette sempre, anche in allenamento.
Con che aspettative l’Italia partecipa a questa Pool? Dove può arrivare?
Le aspettative ci sono, abbiamo cominciato a lavorare in modo diverso da quest’anno. E’ partito un progetto molto serio del Settore Squadre Nazionali; il girone è solo a tre, ma è molto duro: la Bielorussia ha una buona tradizione hockeystica e la Scozia, come tutte le squadre del Regno Unito, è molto forte. Vorremmo arrivare almeno tra le prime quattro, come risultato. Dal punto di vista della presenza in campo, vogliamo essere protagonisti: dimostrare che stiamo sviluppando una nuova idea di gioco, che abbiamo dei punti saldi e sappiamo occupare tutte le zone del campo.
Hai già partecipato a qualche raduno della senior e potresti essere tra i convocati del Round 1 della World League che si gioca proprio qui, a Lousada…
Speriamo! In nazionale senior arrivano solo dei valori esemplari, perché la nazionale è il momento più alto dello sport, una esperienza e un arricchimento infiniti. Una nazionale che va bene, poi, porta valore ai club in cui giochiamo e all’hockey che viviamo. Lousada, domani come a settembre, non può essere affrontata rilassati, ma con impegno e serietà fin da subito.
Tu nel CUS Padova sei titolare e come te (in A2 e in A1) molti tuoi compagni di nazionale…
Ci sono molti compagni che sono titolari e protagonisti nel club; anche per questo la nazionale diventa importante: perché di rimando alza il livello del campionato e consente ai giocatori una esperienza che fa crescere. La strada è quella giusta.
Che sensazioni ti dà ascoltare l’inno e sapere che rappresenti una intera nazione (sportiva)?
Ascoltare l’inno ti dà sempre una grande emozione; pure nel club, a esempio lo ricordo nelle finali nazionali U21, ma con l’Italia ha un valore anche più particolare. E’ una grande emozione, è sempre una magia: bellissimo. E ogni volta è sempre come fosse la prima. Raccoglie la storia e le tradizioni; tutto quello che noi rappresentiamo.
Escludendo quelle tecniche, il giocatore di hockey che qualità deve possedere per arrivare in maglia azzurra?
Sicuramente serve una grande motivazione, perché lavorare per arrivare in nazionale significa escludere qualcos’altro. Nel mio caso, per esempio, significa sacrificare ore di sonno, perché bisogna trovare il tempo per allenarsi e studiare insieme. Serve una forte motivazione e una forte determinazione e non devi farti prendere dalle distrazioni.
Cosa farai da grande?
Studio farmacia, sono al secondo anno. L’idea è continuare a giocare questo sport bellissimo ad alti livelli e poi fare la professione che mi appassiona: quella del farmacista.

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